Dopo il voto
Lo strapotere dei partiti nella crisi della politica
I l r i s u l t a t o e l e t t o r a l e d e l 4 m a r z o e i l
conseguente imperscrutabile percorso per
giungere alla formazione di un governo del
quale, ad oggi, è piuttosto difficile ipotizzare
una caratura politica di rilievo, confermano che
in questi lunghi anni di crisi, culturale prima
ancora che economica, la politica si è arresa al
mercato ma, soprattutto, allo strapotere dei
partiti che essendo interessati, pressoché
esclusivamente, al consenso degli elettori,
hanno abdicato alla loro funzione primaria di
promotori di una visione condivisa sulle
principali questioni della gestione dello Stato.
Al contempo, per soddisfare le ambizioni di
potere, hanno mostrato piena disponibilità ad
assecondare retoriche del dissenso e, nella
consapevolezza della loro impopolarità, si
sono sottoposti ad improbabili maquillage
evitando, talvolta, anche di assumere la
denominazione di «partito». L' assenza di
leader o la rapida consunzione di coloro che
aspirano ad esserlo, impedisce l' affermazione
di una nuova prospettiva. Nondimeno, al
t e m p o d e l l a c r i s i d e l l a p o l i t i c a e d e l l '
associazionismo, che ha contribuito non poco
al decadimento della democrazia, i partiti
vivono un momento di grande egemonia che
non sono disposti a cedere, neanche in parte,
ad altri corpi intermedi tra società e Stato,
come dimostra, per esempio, la mancata regolamentazione delle lobbies.
Sono loro a produrre le regole per la competizione politica e a selezionare i candidati da eleggere.
Designano i governi, anche in palese condizione di antinomia programmatica e culturale tra i vari
componenti. Scelgono coloro che dovranno ricoprire incarichi pubblici, esercitando direttamente lo
spoils system.
Per altri versi, è evidente che in qualsiasi settore, produttivo o professionale, pubblico o privato, la
prossimità politica consente di avere molte più occasioni propizie.
I valori ai quali i partiti politici dichiarano di ispirarsi sono, al pari dei loro programmi, delle mere
attrazioni pubblicitarie per vincere le competizioni elettorali e poco conta la loro pur evidente
irrealizzabilità. D' altra parte vi è piena consapevolezza dell' incapacità degli elettori di rivendicarne l'
effettiva attuazione oppure di assumere concrete iniziative di dissenso contro la violazione delle
aspettative alle quali sono stati indotti.
Tuttavia, questo momento di grande difficoltà può essere un punto di ripartenza della politica. Le poche
affinità programmatiche tra le forze in competizione sono sopraffatte da divergenze incolmabili e l' esito
delle elezioni, mai così scompaginato, non consente le semplificazioni che hanno dato luogo ai
contraddittori accordi del passato.
Rinunciando al ritorno alle urne, quantomeno per scrivere regole elettorali meno illeggibili, oppure ad
assumere il rischio di varare un governo essenzialmente di potere, che risulterebbe incapace di
affrontare e risolvere anche le questioni di ordinaria amministrazione, l' unica possibilità è quella di
annodare il numero maggiore di obiettivi comuni nell' interesse di tutti.
In una prospettiva futura, non si esclude che possa esservi democrazia a prescindere dai partiti ma
oggi, per dirla con Hans Kelsen, soltanto l' illusione o l' ipocrisia può credere che ciò possa avvenire. Si
può quindi sperare e, nei limiti del possibile, sollecitare le forze in campo che abbiano maggiori
attinenze programmatiche ad attuare semmai un sintetico ma incisivo progetto governativo. Così, forse,
si potrà superare la sindrome «dell' inquietudine di governare» che per la prima volta ha colpito i politici,
timorosi dei contraccolpi negativi che ciò potrebbe comportare.
GERARDO VILLANACCI
19 aprile 2018
Pagina 30 Corriere della Sera