Bosetti e Gatti decreto corretivo appalti
Il rapporto tra procedura negoziata e offerta del minor prezzo dopo il decreto correttivo: un ennesimo pasticcio in cerca di una soluzione Da un legislatore che ha introdotto la «consistente duplicazione dei costi» (articolo 106, comma 1, lettera b), sub. 1)), sdoganando anche un altrettanto stravagante concetto di «modesta duplicazione dei costi»; che, dopo averne fornito le definizioni corrette, confonde tra «candidato» e «offerente» (articolo 76, comma 5, lettera a), articolo 97, comma 2, articolo 106, comma 4, lettera a), articolo 155) ci si può aspettare di tutto. Ma essersi incartato tra l’articolo 36, comma 2, lettera d) (procedura negoziata) e l’articolo 95, comma 4, lettera a) (offerta del minor prezzo) costituisce un record (che probabilmente sarà presto battuto). Il Codice era sufficientemente chiaro: 1) i lavori di importo inferiore a 1.000.000 di euro possono essere affidati mediante procedura negoziata; 2) è ammesso il criterio del minor prezzo per i lavori di importo pari o inferiore a 1.000.000 di euro. Correttamente si trattava di due ambiti tra loro autonomi: il primo relativo alla procedura applicabile (articolo 36, comma 2, lettere b) e c) nonché, a contrariis, lettera d)), il secondo relativo al criterio dell’offerta. La coincidenza tra i due limiti di importo, ancorché probabilmente intenzionale, era pur sempre un accidente fenomenico; infatti restava possibile utilizzare le procedure ordinarie e (congiuntamente o disgiuntamente) applicare il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo anche ad importi inferiori a 1.000.000 di euro. Col decreto correttivo, nella foga di semplificare (che normalmente per il nostro legislatore corrisponde a creare un gran casino, e non nel senso architettonico del termine) [1] è stato forse raggiunto un risultato opposto alle finalità perseguite. Vediamo le due norme dopo la “correzione”: Articolo 36, comma 2 (procedura): «… le stazioni appaltanti procedono all'affidamento di lavori … di importo inferiore alle soglie di cui all'articolo 35, secondo le seguenti modalità: a) … b) … per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori … mediante procedura negoziata …; c) per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 1.000.000 di euro, mediante procedura negoziata …; d) per i lavori di importo pari o superiore a 1.000.000 di euro mediante ricorso alle procedure ordinarie fermo restando quanto previsto dall’articolo 95, comma 4, lettera a).» 1 Per la verità a far danno hanno contribuito anche i soggetti intervenuti in fase di consultazione. 2/3 Articolo 95, comma 4 (criterio dell’offerta): «Può essere utilizzato il criterio del minor prezzo: a) fermo restando quanto previsto dall’articolo 36, comma 2, lettera d), per i lavori di importo pari o inferiore a 2.000.000 di euro, quando l'affidamento dei lavori avviene con procedure ordinarie, … in tali ipotesi, qualora la stazione appaltante applichi l'esclusione automatica, la stessa ha l'obbligo di ricorrere alle procedure di cui all'articolo 97, commi 2 e 8;». Ad una prima lettura si giunge alla seguente conclusione: 1) i lavori di importo di importo inferiore a 1.000.000 di euro possono essere affidati mediante procedura negoziata, ma è precluso il criterio del minor prezzo, anche per il rinvio all’articolo 95, comma 4, lettera d); 2) è ammesso il criterio del minor prezzo per i lavori di importo pari o inferiore a 2.000.000 di euro, a condizione che si ricorra alle procedure ordinarie a prescindere dall’importo (quindi anche per lavori inferiori a 150.000 euro e, paradosso dei paradossi, anche per lavori di importo inferiore a 40.000 euro e addio all’affidamento diretto). La maggior parte dei commentatori è giunta a questa sconsolata conclusione, sulla base del solido principio secondo il quale «Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore» (secondo quest’ordine di priorità). Tuttavia non è possibile arrendersi subito. Certamente ad una norma chiara non è concessa altra interpretazione, ma la domanda è: la norma è così chiara da escludere una diversa interpretazione letterale e, in via subordinata, è così chiara da escludere il soccorso delle intenzioni del legislatore? Se la norma transita nella nebulosa dell’ambiguità o dell’equivoco, possono aprirsi fessure interpretative diverse, dettate dalla ratio legis o dai principi generali dell’ordinamento, ragionevolezza, proporzionalità, buona amministrazione. [2] Non ci sono dubbi che se la lettera a) dell’articolo 95, comma 4, recitasse semplicemente «… per i lavori di importo pari o inferiore a 2.000.000 di euro, quando l'affidamento dei lavori avviene con procedure ordinarie …» non ci sarebbero dubbi sulla esclusività della procedura ordinaria come presupposto dell’offerta del minor prezzo (fino a 2.000.000 in luogo del solo milione precedente ma questo poco importa). Resterebbe salva la scissione tra procedura e criterio dell’offerta (che seguono regole proprie). Ma aver anteposto le parole «fermo restando quanto previsto dall’articolo 36, comma 2, lettera d)» ha parzialmente sovrapposto i due ambiti. Per rendere inoppugnabile l’interpretazione restrittiva che sembra prevalere, si dovrebbero considerare inutili le parole anteposte dal decreto correttivo; parole alle quali, al contrario, è opportuno o forse necessario dare un senso e soprattutto attribuire loro un qualche effetto giuridico ed efficacia pratica. [3] Allora forse non è impossibile attribuire alla locuzione che introduce la lettera a), il significato di «ferma la possibilità di ricorrere alle procedure negoziate di cui all’articolo 36, comma 2, lettera d) …» cioè fatta salva la procedura negoziata (ovviamente per importi inferiori a 1.000.000 di euro) fino a 2 milioni di euro è ammesso il criterio del minor prezzo, altrettanto ovviamente 2 E forse anche «benignius leges interpretandae sunt, quo voluntas earum conservetur». 3 Ci si rende conto che i testi legislativi sono infarciti di spropositi, ma dubito che questa possa essere una argomentazione valida per chi sposa la linea restrittiva. 3/3 quando l’affidamento avviene con procedure ordinarie (facoltativamente fino a 1.000.000 di euro, obbligatoriamente da 1.000.000 a 2.000.000 di euro). Si ha l’impressione che tale conclusione non sarebbe posta in dubbio se le parole «fermo restando quanto previsto dall’articolo 36, comma 2, lettera d)» fossero state poste alla fine della lettera a) invece che all’inizio, ma la diversa collocazione nella frase, nel caso di specie, non pare mutarne la portata. Se così fosse, non ci sarebbe bisogno nemmeno del soccorso dell’indagine sulle intenzioni del legislatore, strombazzate ai quattro venti nel senso della semplificazione e dell’ampliamento del perimetro di applicazione del criterio dell’offerta del minor prezzo; inoltre, diversamente opinando, sarebbe largamente vanificato il meccanismo dell’individuazione delle anomalie e dell’esclusione automatica (articolo 97, commi 2 e 8) in quanto inapplicabili alle procedure negoziate se inderogabilmente svolte con il criterio del miglior rapporto qualità/prezzo. E alla fine si consenta di parafrasare il noto brocardo: «primum “appaltare”, deinde philosophari» Incidentalmente un’imprecisione colpisce anche il secondo periodo dell’articolo 158, comma 6, introdotto dal decreto correttivo: «Per i lavori di cui al presente Capo [su beni vincolati - n.d.r.], in deroga al disposto dell’articolo 95, comma 4, può essere utilizzato il criterio del minor prezzo per i lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro»; così posta la norma non è affatto una deroga, ma un pleonasmo o un’appendice inutile: per costituire una deroga il periodo corretto sarebbe stato «Per i lavori di cui al presente Capo, in deroga al disposto dell’articolo 95, comma 4, il criterio del minor prezzo può essere utilizzato solo per i lavori di importo pari o inferiore a 500.000 euro».
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