IL FORUM DEI SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI
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Ecce: ego mitto vos sicut oves in medio luporum; estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae. 
Cavete autem ab hominibus; tradent enim vos in conciliis… MATTHAEUM, 10,16-17.

IN RAGIONE DELLA ESTREMA IMPORTANZA DELLA QUESTIONE, SEGNALIAMO QUI IL LINK AL SITO ANPCI DA CUI SI PUO’ SCARICARE IL TESTO DELLA PROPOSTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI GESTIONI ASSOCIATE OBBLIGATORIE: LINK AL SITO ANPCI 

Passo gran parte del mio tempo, non a difendere la Legge, come vorrebbe la vulgata corrente, che mi qualifica enfaticamente “sentinella della legittimità”, ma piuttosto a difendere me (e quelli che a me si affidano) dalle angherie di una legge sempre più incomprensibile ed ottusa… Ossia vivo una realtà che è l’opposto rispetto a quella che ipocritamente si rappresenta.


"Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare"
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Discussione libera proposta da: il 12/09/2017 alle ore 11:25
Far West -Far Web

E mentre il governo è inento a penalizzare e punire in ogni modo il lavoro e chi ha meno.....i colossi del web evadono felici ed impuniti miliardi.......

Le tasse eluse dai colossi del web valgono un terzo
della manovra
La Commissione Bilancio della Camera: ogni anno perse imposte per 5 miliardi Così il
piano dell' Italia e degli altri governi Ue cerca di recuperarne almeno una parte
ROMA. Il malloppo che sottraggono al fisco
italiano è ingente: la Commissione Bilancio
della Camera lo valuta in 3032
miliardi di
base imponibile, che in termini di gettito
significa per lo Stato 56
miliardi in meno ogni
anno.
Insomma, circa un terzo della manovra
finanziaria per il 2018, che si aggirerà sui 1215
miliardi.
Se il mondo delle web company uscisse dal
Far West fiscale, si potrebbe dunque fare a
meno di un bel pezzo della legge di Bilancio
del prossimo anno.
Ma come fanno i giganti del web, da Amazon a
Facebook, ad eludere le tasse? La ricetta si
compone di tre elementi: un certo disprezzo
delle regole come se questi soggetti potessero
collocarsi al di sopra degli Stati e del fisco; la
m a n c a n z a d i u n a l e g i s l a z i o n e i t a l i a n a
c o m p i u t a ; l ' a s s e n z a d i u n t r a t t a t o
i n t e r n a z i o n a l e ( d o v u t a s o p r a t t u t t o a l l e
resistenze Usa) cui l' azione del nostro
ministro dell' Economia Pier Carlo Padoan,
unita ad altri partner europei, sta cercando di
far fronte.
In mezzo a questo caos le web company fanno
a g i l m e n t e l o s l a l o m t r a d u e p a l e t t i : i l
pagamento della tassa sui profitti (in Italia l' Ires) e di quella sulle transazioni (nello specifico l' Iva).
L' elusione della tassa sui profitti è risolta abbastanza agevolmente da tutte le società, al di là della
specializzazione merceologica o di business. La chiave è la cosiddetta "stabile organizzazione": i codici
internazionali del fisco prevedono che una multinazionale debba pagare le tasse sui profitti in un paese
dove fa affari ed opera se ha in quel paese una "stabile organizzazione", cioè un certo numero di
dipendenti, una organizzazione commerciale, degli uffici o linee di produzione. Altrimenti può
continuarle a pagare nella propria sede legale e fiscale che, solitamente, è collocata in Irlanda, Olanda o
in Lussemburgo dove le aliquote sono meno della metà che da noi. Così fanno società come Facebook,
Twitter, Airbnb, Uber, Amazon, mentre Google, recentemente, dopo un patteggiamento con il fisco, si è
autonomamente adeguata alla legge italiana. L' Agenzia delle entrate dovrebbe dimostrare che l' attività
italiana di queste aziende è "stabile" ed "organizzata", nonostante la mancanza di personale e uffici, ma
la battaglia legale è spesso perdente perché in Italia queste società hanno un spesso solo un server, un
portale e una segretaria. Per questo il codice europeo chiesto da Italia, Germania, Francia e Spagna e
taglierebbe la questione alla radice: anche senza sede fisica, se c' è il business, le tasse dovranno
essere pagate dove si opera.
Il surf più pericoloso avviene invece sull' Iva: mentre per le tasse sui profitti c' è una legislazione incerta,
sull' Iva i margini sono minori. Tant' è che proprio le tasse sulle vendite di pubblicità e la mancata
fatturazione hanno consentito alla Procura di Milano di avviare le indagini che hanno investito a vari
livelli Google, Amazon e Facebook. Le web company infatti sono allergiche alle tasse sugli scambi:
vendono prodotti diversi, Facebook la pubblicità, Amazon libri e beni di consumo, Airbnb servizi di
affitto. Ma quando arriva un libro a casa basta verificare: la fattura e l' Iva italiane non ci sono, il loro
posto è preso da un analogo documento lussemburghese. Naturalmente le società sostengono di stare
nel lecito, ma spesso i beni acquistati partono dalle stesse aziende italiane produttrici, o dai magazzini
sparsi nella Penisola, e viaggiano senza fattura.
Il Parlamento, anche grazie alla battaglia del presidente della Commissione Bilancio della Camera
Francesco Boccia, ha cercato di far pagare le tasse alle web company. Avvenne nel 2013 con un
esperimento di web tax sul quale il governo Renzi fece subito retromarcia. Così in attesa di una
legislazione internazionale sulla "stabile organizzazione" si cerca di far emergere la presenza in Italia
del business con ogni mezzo: ad esempio da quest' anno Airbnb e booking.com sono state costrette ad
esercitare il ruolo di sostituti d' imposta per conto dello Stato e riscuotere così le tasse dai proprietari
degli appartamenti utilizzati per affitti brevi. Un modo per monitorare anche i profitti e il fatturato delle
società di servizi immobiliari e turistici. E poi tassarli.
©RIPRODUZIONE RISERVATA.
ROBERTO PETRINI
11 settembre 2017
Pagina 17 La Repubblica



Embraco utili raddoppiati e....tutti licenziati (23/02/2018 15:26)

Il modello imposto della competitività, della produttività, degli utili netti.....tutto più che bene, Embraco ha raddoppiato i profitti, presi gli aiuti di stato, non è in crisi eppure tutto questo non serve a niente, si profila il licenziamento dei 500 dipendenti.

Verrebbe da dire che questi tanto decantati modelli "meritocratici" altro non sono che espedienti per sfruttare e mal pagare il lavoro. Meditate.

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/embraco-troppi-stipendi-sono-solo-il-7-del-fatturato/

Caso Embraco effetto della globalizzazione (21/02/2018 10:47)

La delocalizzazione

EMBRACO I VERI PADRONI DEL GIOCO

Lo scandalo Embraco, 500 posti di lavoro che

rischiano di sparire dall' Italia, è la tragica

conferma che le regole del gioco di questa

globalizzazione sono state scritte dalle

multinazionali a loro uso e consumo. Ivi

compreso nel mercato unico europeo. Anch'

esso vive nel ricatto quotidiano delle grandi

aziende verso le comunità di cittadini e gli Stati

nazione. I diktat li conosciamo.

O mi riduci le tasse o chiudo, licenzio, investo

altrove. O mi dai fondi pubblici o li ottengo da

altri governi. Poi magari, dopo avere incassato

le agevolazioni, la multinazionale chiude e se

ne va comunque, perché in un Paese vicino (la

Slovacchia nel caso di Embraco) trova salari

più bassi e incentivi pubblici più generosi. Tra

governi va avanti da decenni questo gioco al

massacro, una concorrenza distruttiva, una

gara al ribasso dalla quale usciamo tutti

impoveriti. Un giorno anche la Slovacchia, se i

suoi operai osano conquistare salari migliori,

vedrà fuggire le aziende: magari verso Paesi

balcanici più poveri che stanno negoziando l'

adesione all' Unione europea.

Questa Europa è sempre meno la terra dei

diritti dei lavoratori, ormai tenta di inseguire un

modello americano: il dumping salariale è

normale all' interno degli Stati Uniti dove l' Alabama può vietare di fatto l' ingresso dei sindacati in

azienda, per attirare fabbriche che lo preferiscono al Michigan. In più il federalismo fiscale consente a

vaste zone governate dalla destra (dal Texas alla Florida) di tagliare i servizi pubblici ai cittadini in

modo da essere paradisi fiscali per le aziende. Gli Stati Uniti però hanno almeno una difesa esterna.

Lo si è visto di recente proprio in un caso che riguarda la Whirlpool, cioè la casa madre di Embraco. È

stata la Whirlpool, produttrice di elettrodomestici, a implorare Donald Trump di proteggerla contro la

concorrenza della Lg sudcoreana.

La Casa Bianca ha accolto la richiesta e ha inflitto un superdazio sulle lavatrici Made in South Korea. Il

protezionismo è la reazione logica, se ti sei convinto che l' occupazione dei tuoi cittadini è minacciata da

una concorrenza sleale di Paesi stranieri. È inutile accusare di demagogia i politici populisti.

Chi alimenta il protezionismo sono le multinazionali. Hanno fatto secessione dai propri Paesi. Hanno

tagliato ogni legame di solidarietà con i propri luoghi d' origine. Hanno calpestato i doveri di solidarietà

fiscale a cui noi comuni mortali siamo sottoposti.

Hanno creato un mondo dove solo gli stipendi dei loro top manager sono una "variabile indipendente",

fissata da chi quegli stipendi riceve. Poi, se fa comodo in un contesto come quello americano, le stesse

multinazionali possono bussare alla porta dei governi chiedendo, oltre agli sgravi fiscali, protezione

contro la concorrenza straniera: il caso WhirlpoolTrump.

È ancora più grave che questi giochi al massacro (dei posti di lavoro, del patto di cittadinanza, dello

Stato di diritto) possano accadere anche all' interno dell' Ue. Bruxelles ci ha messo troppi anni, per

reagire al dumping fiscale dell' Irlanda che è diventata la sede di comodo delle multinazionali Usa.

Quando se n' è accorta, era tardi: Trump ha varato un maxicondono

e i capitali di Apple & C. tornano a

casa, allettati da nuovi privilegi e regalie. Nel caso Embraco abbiamo la beffa dei fondi europei usati a

fini di dumping sociale.

Nessuno deve stupirsi, a Bruxelles, se dalle urne delle elezioni nazionali escono premiate forze politiche

che all' Europa non credono più.

© RIPRODUZIONE RISERVATA.

Federico Rampini

21 febbraio 2018

Pagina 35 La Repubblica

 

I miti della globalizzazione (20/02/2018 09:34)

Dal sito di Truthout una doppia intervista a Noam Chomsky e Ha-Joon Chang – noto in Italia per il saggio “Cattivi samaritani”, che smaschera l’effetto nefasto delle politiche neoliberiste imposte ai paesi poveri dai paesi ricchi e dalle istituzioni internazionali tra cui Fmi e Wto. Temi come la globalizzazione, i suoi legami con il capitalismo, i suoi vantaggi e svantaggi nonché la sua ineluttabilità e proposte come il reddito minimo universale sono spesso oggetto di propaganda, luoghi comuni se non addirittura affermazioni false, che – ripetute ovunque – finiscono per essere scambiate con la verità. In questo senso la riflessione documentata e approfondita di due studiosi fuori dal coro è l’unica efficace forma di debunking, capace di separare quello che è vero da  quello che semplicemente conviene agli interessi dei più forti.

 http://vocidallestero.it/2018/02/19/i-miti-della-globalizzazione-conversazione-con-noam-chomsky-e-ha-joon-chang/

I giganti tecnologici diventano banche (20/02/2018 08:56)

Nulla può fermare l'avanzata senza freni in ogni campo dei giganti tecnologici e multinazionali della distribuzione, Google, Microsoft,Amazon, Alibaba.......il loro potere di investimento equivale al PIl di Italia e Spagna messe insieme e la politica? Sta a guardare

https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/02/20/banche-dinvestimento-offshore-cosi-apple-google-c-usano-i-3mila-miliardi-di-dollari-parcheggiati-nei-paradisi-fiscali/4168591/

60 miliardi evasi dalle multinazionali (20/11/2017 11:11)

E mentre aumentano gli indigenti, la classe media è schiacciata tra lavori precari e sottopagati in nome della salvifica austerità.....c'è chi beneficia di tutti questi sacrifici (umani) e avendo e trasferendo le ricchezze nei paradisi fiscali è questa la vera emergenza

Ai raggi X le pratiche aggressive emerse nell' ambito della vicenda Paradise papers

Multinazionali, nell' Ue elusi 60 mld di imposte ogni

anno

L e m u l t i n a z i o n a l i e l u d o n o l e i m p o s t e ,

sottraendo gettito fiscale nella Ue per almeno

60 miliardi di euro all' anno. È quanto stimato

dal professor Gabriel Zucman, dell' Università

di Berkeley in California, nell' ambito del caso

denominato Paradise papers.

Secondo il professore, inoltre, il 40% degli utili

complessivi viene delocalizzato in paradisi

fiscali, grazie all' implementazione di pratiche

fiscali elusive.

Queste ultime sono state individuate in

m a n i e r a p u n t u a l e , a n c h e r i s p e t t o a l l e

dinamiche che le hanno caratterizzate, di cui si

specificherà infra.

Il Consorzio internazionale dei giornalisti

investigativi, a cui aderiscono nel mondo 96

mass media, per oltre 400 giornalisti di 67

Paesi, su impulso e diffusione dei dossier del

quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung, ha

filtrato quasi 7 milioni di documenti, riferibili a

un orizzonte temporale che va dal 1950 al

2016 incluso, attinti dallo studio legale

denominato Appleby, con sede a Bermuda e

presente in una decina di altri territori offshore

Multinazionali big quali Nike, Facebook e

Apple, per citarne alcune tra le più note,

avvalendosi della consulenza di esperti

fiscalisti sono pervenuti all' erosione delle basi

imponibili con lo spostamento degli utili nei paradisi fiscali.

Tale fenomeno, noto come Beps (base erosion and profit shifting), è oggetto di misure di prevenzione e

contrasto da parte dell' Ocse, congiuntamente alla Ue.

Sono stati indagate, tra l' altro, le tecniche di implementazione della cosiddetta pianificazione fiscale

aggressiva, definendone modalità e perimetro di gioco.

Ma procediamo per gradi, descrivendo quanto è emerso con particolare riferimento alle multinazionali

big, nell' ambito del Paradise papers, considerando, al contempo, lo scenario di contrasto che in

maniera sempre più nitida viene a delinearsi all' orizzonte.

Il mondo e la consapevolezza, non se ne dubita, sono cambiati. Ciò che fino al recente passato si

presumeva non avrebbe potuto conoscersi, ora sarà sempre più tracciabile, tenuto anche conto delle

quindici misure definite a livello Ocse, nell' ambito del progetto Beps. Si va verso un cambiamento di

paradigma condiviso, finalizzato a rimuovere le distorsioni, colmando i buchi normativi (cosiddetti tax

loopholes), generati dalla combinazione non sempre allineata e coordinata delle normative giuridicotributarie,

considerate a livello globale.

Il caso Nike. La multinazionale dal 2005 al 2014 ha puntato sulla proprietà intellettuale riferibile ai beni

immateriali quali i marchi e i brevetti, per abbattere le imposte dovute in Europa.

In particolare, la titolarità dei beni immateriali era in capo a una società del gruppo, denominata Nike

International Ltd, con sede a Bermuda, la quale a fronte di un contratto di licenza sottoscritto con

controparti le consociate europee, veniva remunerata con ingenti royalties, rappresentanti per le

consociate costi deducibili, come tali idonei a ridurre la base imponibile in Olanda dove risiedevano.

Marchi e modelli quali Swoosh, Just do it, Flight, Force, Pegasus e Tailwind sono stati funzionali all'

abbattimento drastico delle imposte dovute in Europa.

Infatti, sulle royalties percepite dalla Holding residente a Bermuda, quest' ultima non versava neanche

un euro di imposte, essendo l' imposta societaria applicabile ivi pari a zero.

Alla fine la tassazione effettiva risultava essere pari a circa il 2% degli utili, contro l' aliquota societaria

ordinaria europea media del 25%. Peraltro le consociate europee licenziatarie del marchio, all' atto della

corresponsione delle royalties, secondo la normativa olandese, non trattenevano alcuna ritenuta in

uscita su detti pagamenti resi alla licenziante a Bermuda. Operazione completamente infragruppo,

finalizzata a ridurre le imposte.

A questo punto ci si chiederà quale sostanza economica, in termini di personale, uffici, progettualità e

piani di sviluppo caratterizzasse la holding in Bermuda.

La risposta è, purtroppo, sostanza economica quasi del tutto insignificante.

Le vendite a livello europeo venivano canalizzate su due società olandesi, denominate Nike European

Operations Netherlands BV (Neon) e Nike Retail BV, essendo così gli utili convogliati, a livello di

vendite europee, in Olanda.

Mediante i richiamati contratti di licenza sugli intangibles, si creavano dei costi completamente

deducibili a livello delle società sussidiarie in Olanda (con erosione delle basi imponibili), trasferendo gli

utili sotto forma di canoni a Bermuda, in favore della Holding licenziante.

Le imposte venivano corrisposte in misura complessivamente inferiore al 2%, assolte per lo più in

Olanda, nonché dalle filiali europee, la cui forma di remunerazione era una sorta di ristoro corrisposto

da Neon, per il sostegno logistico necessario alla distribuzione.

Si consideri, peraltro, che le scarpe vengono prodotte in paesi quali il Vietnam e l' Indonesia, con costo

della manodopera decisamente contenuto. Ciò rende facilmente intuibile come la gran parte del prezzo

di vendita remuneri la componente di cui alla proprietà intellettuale. Le scarpe pervengono al

consumatore finale tramite acquisto via Internet, oppure recandosi presso gli store a marchio Nike

oppure indipendenti.

A fronte di modifiche sopravvenute, tale meccanismo elusivo dal 2014 è stata innovato. Infatti, dalle

Bermuda si è rimasti nella sola Olanda, paese dalla reputazione di tutto rispetto, utilizzando una entità

giuridica ibrida locale denominata Cv («commanditaire vennootschap»), costituita tramite la

sottoscrizione di una sorta di accordo associativo.

La normativa olandese non prevede prescrizioni particolari circa il contenuto dell' accordo, neppure in

ordine all' identità degli associati, potendo trattarsi sia di persone fisiche che di enti o società, residenti o

meno in Olanda.

La gestione della Cv necessita della presenza di general partner, che per l' appunto si occupano dell'

amministrazione della stessa, laddove invece i limited partner sono tenuti a fornire i mezzi finanziari per

l' attività da svolgere.

Di fatto, usualmente vi è un solo general partner, con una quota che può ben essere pari allo 0,001%

della Cv, con le restanti quote nelle mani dei limited partner. General partner può essere pure una

fondazione olandese, gestita con l' intervento di una società fiduciaria locale.

La Cv olandese ha rappresentato la soluzione prospettata dai fiscalisti alla Nike, per continuare a

eludere le imposte sui fatturati di fonte europea, introducendo quali limited partner due società

americane del gruppo.

Va specificato che dal punto di vista tributario domestico statunitense, gli utili ascrivibili alla Cv non

rientrano nel perimetro americano, in quanto imponibili in Olanda, mentre secondo la normativa fiscale

olandese, detti utili sarebbero imponibili negli Stati Uniti d' America.

Il risultato è l' assenza di imposizione.

In concreto, la proprietà intellettuale nel 2014 è stata trasferita dalla Holding International Ltd alla Nike

Innovate Cv. Quest' ultima è, di fatto, un apolide fiscale, con buona pace del fisco americano. La

tassazione globale del gruppo nel 2007 era pari al 34,9%, riducendosi nel 2016 al 13,20%, proprio

grazie al contributo della Cv.

Ai fini della tassazione mondiale del gruppo, occorre considerare che le vendite in America sono incise

da un' imposta societaria federale del 35%, unitamente alle imposte statali. E' notizia recente che il

presidente statunitense abbia allo studio l' introduzione di una normativa fiscale, finalizzata al rimpatrio

di fondi societari esteri, riferibili a società americane, con una tassazione di favore del 12%, in luogo

dell' ordinario 35%. Nelle intenzioni di Trump tale misura consentirebbe di far confluire negli Usa i

bottini di guerra generati dalle pratiche elusive perpetrate in Europa.

In altri termini, migrazione di ingente ricchezza di fonte Europea, con voragine di gettito ivi, a beneficio

del nuovo impulso all' economia Usa: i conti non tornano.

© Riproduzione riservata.

PAGINA A CURA DI FRANCESCO SQUEO

20 novembre 2017

Pagina 2 Italia Oggi Sette