IL FORUM DEI SEGRETARI COMUNALI E PROVINCIALI
SPAZIO APERTO ALLA RIFLESSIONE SUI TEMI PROFESSIONALI E NON SOLO
 
 
Ecce: ego mitto vos sicut oves in medio luporum; estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae. 
Cavete autem ab hominibus; tradent enim vos in conciliis… MATTHAEUM, 10,16-17.

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Passo gran parte del mio tempo, non a difendere la Legge, come vorrebbe la vulgata corrente, che mi qualifica enfaticamente “sentinella della legittimità”, ma piuttosto a difendere me (e quelli che a me si affidano) dalle angherie di una legge sempre più incomprensibile ed ottusa… Ossia vivo una realtà che è l’opposto rispetto a quella che ipocritamente si rappresenta.


"Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare"
(M. Foucault)
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Discussione libera proposta da: il 30/10/2018 alle ore 09:53
Il crepuscolo degli eurodei
Il lungo addio di Angela Merkel, che ha annunciato l'abbandono della politica dal 2021, può diventare il crepuscolo di una certa idea di Europa, ferrea nei regolamenti ma coesa negli intendimenti. Avvisaglie della fine di un'era, che comincerà con le prossime elezioni Europee deI maggio 2019, proseguirà con l'indicazione dei nuovi commissari e si concluderà quando gli stati indicheranno, nel novembre dello stesso anno, il futuro presidente della BCE, erano da tempo presenti nel dibattito politico. Ma la scelta della Cancelliera rischia di velocizzare un processo di disgregazione. Tutto è cominciato un po' di tempo fa, più o meno nel 2015. Una data simbolo: quell'anno si svolse l'inutile referendum greco sull'austerity, che di fatto non ha tolto il cappio al collo di Atene dei suoi creditori; quello stesso anno si chiusero le frontiere tedesche sulla spinta di un milione di migranti accolti nei lander, provocando, con il blocco del fronte di Visegrad, l'esplosione della crisi degli immigrati nel Mediterraneo. A quei tempi, Frau Merkel era effigiata nientemeno come Madre Teresa di Calcutta e l'italiano Mario Draghi veniva indicato quale il salvatore dell'euro. In tre anni, tutto è cambiato . In molti pensano che l'Unione Europea e le sue roccaforti, dalla Commissione al Parlamento e alla BCE, abbiano fatto ben poco per arginare le disuguaglianze dirompenti e che, anzi, ne siano corresponsabili. Non è vero ma, a causa delle mancate riforme che esse, su spinta di Merkel e Draghi, dovevano completare, questa convinzione si è diffusa. E temo che diventerà pericolosa, quando il duo "Drakel" lascerà il suo posto. In gioco non ci sono solo qualche decimale di Pil nella manovra del governo italiano, il voto delle agenzie di rating e la sostenibilità del debito e del patrimonio delle banche, che da settimane appassionano gli analisti. In gioco ormai c'è l'Europa. E mettendo insieme i pezzi del puzzle dell'UE, che i due indiscussi protagonisti degli ultimi dieci anni hanno scompaginato (una intenta a dettare la linea agli altri Paesi; l'altro a cercare una cura per debito e disoccupazione), si capisce perché. Per perfezionare l'Unione mancano, infatti, alcuni tasselli fondamentali, rendendo ogni Paese possibile miccia del dissolvimento finale. Dal punto di vista bancario, l'architettura comunitaria necessita del completamento della garanzia centrale sui depositi, che renda omogenea la rete protettiva sui conti correnti di milioni di europei. Da almeno un paio di anni, i tedeschi però puntano i piedi: immemori di aver salvato con i soldi pubblici le proprie casse di risparmio, pretendono in cambio che i titoli di stato nei bilanci delle banche non siano più a rischio zero. Così, la trattativa si è arenata. In questo contesto, risultano comprensibili le proteste di tutti coloro che hanno attaccato il sistema di salvataggio bancario, il famoso bail in, in vigore dal 2016. Prima del cambio delle regole, la Germania ha speso 227 miliardi, il Regno Unito 101 miliardi, l'Irlanda 58 miliardi, la Spagna 52 miliardi, l'Austria 33 miliardi, i Paesi Bassi 23 miliardi, l'Italia 13 miliardi, ma quando i soldi ce li hanno messi anche i risparmiatori. I quali di certo non hanno dimenticato. Analogo discorso si può fare per il Fondo Salva-Banche che dovrebbe interagire con il Fondo Salva-Stati, aumentandone la portata finanziaria. Finora l'Italia ha versato qualcosa come 50 miliardi di euro, tra prestiti bilaterali e contributi per mettere in sicurezza paesi come la Grecia. Eppure della condivisione effettiva dei rischi sistemici, cara al presidente della BCE Mario Draghi, non si vede traccia. Senza questa riforma fondamentale, non si può arrivare nemmeno a discutere di un terzo pilastro, quello dell'emissione di Eurobond, titoli di debito comune che sostituiscano, prima o poi, i titoli di stato nazionali. Anche qui le resistenze principali sono di Berlino, dove l'uscita di scena di Angela Merkel non farà che indurire le posizioni nazionaliste tedesche. Questa stortura permanente rende più forte il pensiero di chi reclama la sovranità monetaria, adducendo la forza americana come possibile (e ormai noto) Piano B. Anche il sistema tributario comune, che ci lasciano in eredità la Cancelliera e il presidente dell'Eurotower, è incompleto. Nell'Eurozona non possono più coesistere paradisi come Irlanda e Lussemburgo e "inferni fiscali" in terra, quali Francia, Italia e Germania. Per una maggiore integrazione serve assolutamente l'Unione Fiscale. Altrimenti avrà ragione chi vuole rendere più competitivo il proprio Paese, come sta facendo Donald Trump negli Stati Uniti, abbassando il sistema impositivo sulle aziende e stabilendo dazi all'entrata. Su questo punto sarà fondamentale capire come finirà la trattativa sulla Brexit. Ma è sui conti pubblici che si consuma definitivamente la sfida tra chi vuole riformare l'Europa in chiave europeista e chi desidera ridurre il potere di Bruxelles. Da anni si discute di rivedere le norme sul Fiscal Compact, che impone la riduzione del debito per raggiungere il pareggio di bilancio senza investire un euro sulla crescita. Averlo inserito in Costituzione (come ha fatto l'Italia), oltre a rendere difficoltosa ogni manovra, è una scelta suicida perché rende asfittica ogni politica economica e giustifica la richiesta di sforare il parametro del 3% di deficit-Pil. Invece, chi è sotto procedura d'infrazione (come la Francia da 9 anni) può infischiarsene della regola del debito. Ora, tra Roma e Bruxelles siamo al braccio di ferro. Ma una sanzione massima di 9 miliardi tra qualche anno per una manovra che vale circa il doppio di spesa dimostra che le regole europee, alla fine, sono inefficaci e andrebbero cambiate. Non stracciate. A completare il quadro delle incongruenze: l'assenza di sanzioni ai paesi che non hanno adempiuto agli accordi presi sul ricollocamento dei migranti; la difficoltà di costituire un esercito comune; l'inesistenza di un Fbi europeo. Tutti elementi che incoraggiano il rafforzamento delle difese nazionali. In questo contesto identitario, nessuno ha più il coraggio di ricordare gli evidenti motivi che esistono ancora oggi per rimanere uniti: la libertà di espressione, la libertà movimento, il mercato unico (free roaming, liberalizzazioni vincenti nei trasporti e nelle telecomunicazioni), il rispetto dei diritti umani. Insomma, proprio i baluardi del ticket "Drakel". La realtà spesso è ben diversa da quella immaginata a tavolino dagli sherpa che scrivono i trattati e dai premier che li impongono. Si avvicina il crepuscolo degli "eurodei", va evitato che si avvicini anche quello dell'Europa unita. E ci si può riuscire solo indicando una strada per portare a compimento le suddette riforme.