SPAZIO APERTO ALLA RIFLESSIONE SUI TEMI PROFESSIONALI E NON SOLO
Ecce: ego mitto vos sicut oves in medio luporum; estote ergo prudentes sicut serpentes et simplices sicut columbae.
Cavete autem ab hominibus; tradent enim vos in conciliis… MATTHAEUM, 10,16-17.
IN RAGIONE DELLA ESTREMA IMPORTANZA DELLA QUESTIONE, SEGNALIAMO QUI IL LINK AL SITO ANPCI DA CUI SI PUO’ SCARICARE IL TESTO DELLA PROPOSTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI GESTIONI ASSOCIATE OBBLIGATORIE: LINK AL SITO ANPCI
Passo gran parte del mio tempo, non a difendere la Legge, come vorrebbe la vulgata corrente, che mi qualifica enfaticamente “sentinella della legittimità”, ma piuttosto a difendere me (e quelli che a me si affidano) dalle angherie di una legge sempre più incomprensibile ed ottusa… Ossia vivo una realtà che è l’opposto rispetto a quella che ipocritamente si rappresenta.
"Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare" (M. Foucault)
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Discussione libera proposta da: il 06/04/2019 alle ore 09:57
Mobilità bloccata per 5 anni
Lo prevede la legge di conversione del decretone su Reddito di cittadinanza e Quota 100
Mobilità bloccata per 5 anni
I dipendenti neoassunti non possono cambiare sede
Mobilità bloccata per cinque anni negli enti
locali, per i dipendenti neoassunti. La legge
26/2019, di conversione del dl 4/2019 (su
reddito di cittadinanza e quota 100) introduce
una novità rilevante per la gestione del
personale alle dipendenze di regioni ed enti
locali.
L' articolo 14-bis della legge 26/2019, infatti,
inserisce nel corpo dell' articolo 3 del dl
90/2014, convertito in legge 114/2014, un
nuovo comma 5-septies, ai sensi del quale «i
vincitori dei concorsi banditi dalle regioni e
d a g l i e n t i l o c a l i , a n c h e s e s p r o v v i s t i d i
a r t i c o l a z i o n e t e r r i t o r i a l e , s o n o t e n u t i a
permanere nella sede di prima destinazione
per un periodo non inferiore a cinque anni. La
presente disposizione costituisce norma non
derogabile dai contratti collettivi».
È piuttosto evidente la stretta somiglianza di
questa disposizione con quella contenuta, da
ben prima, nel comma 5-bis, dell' articolo 35
del dlgs 165/2001: «I vincitori dei concorsi
d e v o n o p e r m a n e r e n e l l a s e d e d i p r i m a
destinazione per un periodo non inferiore a
c i n q u e a n n i . L a p r e s e n t e d i s p o s i z i o n e
costituisce norma non derogabile dai contratti
collettivi».
Entrambe le previsioni sono finalizzate a consentire ai dipendenti neo assunti di trasferirsi
volontariamente presso un altro ente, anche di comparto diverso, solo dopo aver prestato servizio nella
prima sede di destinazione per almeno 5 anni.
Perchè, allora, una disposizione come quella contenuta nella legge 26/2019? Non si tratta, a ben
vedere, di una semplice replica di quanto già da tempo previsto nel testo unico sul pubblico impiego.
Sta di fatto che l' articolo 35, comma 5-bis, del dlgs 165/2001 è stato considerato, da gran parte della
dottrina e soprattutto dagli operatori concreti, come una disposizione valevole solo per le
amministrazioni dello Stato o, comunque, organizzate con uffici distribuiti su territori ampi. I comuni, in
particolare, si sono sempre ritenuti non soggetti a tale previsione, dal momento che tecnicamente non
era possibile identificare una «sede di prima destinazione» geograficamente autonoma rispetto ad altre.
5 aprile 2019
Pagina 41 Italia Oggi
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La legge 26/2019 estende espressamente il divieto di trasferimento volontario presso altre
amministrazioni prima di 5 anni dall' assunzione anche alle amministrazioni locali sprovviste «di
articolazione territoriale», proprio allo scopo di privare di effetto l' interpretazione restrittiva che fin qui di
fatto aveva vanificato la portata dell' articolo 35, comma 5-bis, del dlgs 165/2001 negli enti locali.
Tuttavia, lo scopo appare anche un altro. È noto che il disegno di legge delega per la riforma della
pubblica amministrazione, approvato dal consiglio dei ministri poco tempo fa, intende riproporre un'
idea, molte volte già espressa in precedenza e sempre naufragata: abolire il nulla osta alla mobilità
volontaria dei dipendenti. Il che consentirebbe, quindi, ai dipendenti pubblici di trasferirsi da un'
amministrazione all' altra, senza dipendere dal consenso alla mobilità del datore di lavoro.
Ovviamente, simile disposizione avrebbe la controindicazione di rendere poco controllabile la dotazione
organica operante negli enti. L' articolo 14-bis della legge 26/2019, allora, introducendo l' obbligo di
permanenza per cinque anni nella prima sede di destinazione intende porre un argine al rischio di una
serie incontrollabile di mobilità.
C' è da osservare che la norma introdotta dall' articolo 14-bis della legge 26/2019 non è, però, di
interpretazione autentica e, quindi, non ha efficacia retroattiva; pertanto, è corretto concludere che l'
obbligo di permanenza per almeno cinque anni valga solo per i dipendenti che saranno assunti dopo la
sua entrata in vigore.
Gli altri dipendenti, la stragrande maggioranza dei quali ha oltre cinque anni, se davvero si esercitasse
la delega tendente ad abolire il nulla osta, potrebbe di conseguenza avere un domani mano libera nel
trasferirsi dove ritenuto più opportuno.
Se davvero, dunque, il Legislatore ritiene che l' obbligo della permanenza di cinque anni nella sede
costituisca un limite alle mobilità, una volta liberalizzate, è da evidenziare che ha sottostimato le
conseguenze di simile decisione. La parte preponderante del personale degli enti locali potrebbe
decidere di andare in mobilità verso altre amministrazioni, in una girandola incontrollabile che per altro
vanificherebbe del tutto le regole sulla programmazione dei fabbisogni, che diverrebbe poco più che
carta straccia. Un ripensamento maggiormente meditato dell' intenzione manifestata di eliminare il nulla
osta è quanto mai necessario.
LUIGI OLIVERI
5 aprile 2019
Pagina 41 Italia Oggi