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Cavete autem ab hominibus; tradent enim vos in conciliis… MATTHAEUM, 10,16-17.
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Passo gran parte del mio tempo, non a difendere la Legge, come vorrebbe la vulgata corrente, che mi qualifica enfaticamente “sentinella della legittimità”, ma piuttosto a difendere me (e quelli che a me si affidano) dalle angherie di una legge sempre più incomprensibile ed ottusa… Ossia vivo una realtà che è l’opposto rispetto a quella che ipocritamente si rappresenta.
"Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo, ma piuttosto di rifiutare quello che siamo. Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare" (M. Foucault)
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Discussione libera proposta da: il 31/05/2019 alle ore 10:47
L'errore del fiscal compact
Giovanna Ciaffi, Matteo Deleidi e Enrico Sergio Levrero*
Nel corso degli ultimi 20 anni la direzione seguita a livello europeo è stata quella di una crescente rigidità nelle regole fiscali anche oltre quanto già previsto dal Trattato di Maastricht del 1992, fino ad arrivare, nel marzo del 2012, al Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell?Unione Economica e Monetaria, noto come Fiscal Compact e firmato da tutti gli Stati membri dell?Unione Europea, esclusi il Regno Unito e la Repubblica Ceca.
Come è noto, il Fiscal Compact prevede il rispetto di due regole principali in materia di finanza pubblica: (i) Un sostanziale pareggio di bilancio, o più precisamente, il divieto per il deficit strutturale del settore pubblico di superare lo 0,5% del Pil nel corso di un ciclo economico; e (ii) che il rapporto debito pubblico/Pil scenda ogni anno di un ventesimo della distanza tra il suo livello effettivo e la soglia-obiettivo del 60% prevista nel Trattato di Maastricht.
Per quanto dal 2012 la Commissione Europea abbia concesso ai diversi Stati, tra cui l?Italia, deroghe alle regole imposte dal Fiscal Compact, ci si può chiedere ? anche alla luce di alcune proposte di riforma che ne prospettano un inasprimento in vista di una possibile politica fiscale europea¹ ? cosa accadrebbe se si imponesse ai singoli Stati anche solo il puntuale rispetto delle regole fiscali finora previste. In particolare, ci si può chiedere quali effetti diverse regole di politica fiscale potrebbero avere sull?andamento del rapporto debito pubblico/Pil. Come si vedrà, qualora si ammetta che il trend del reddito dipende dalle variazioni nelle componenti autonome della domanda aggregata, una politica fiscale restrittiva che segua le regole del Fiscal Compact non determinerà necessariamente una riduzione di quel rapporto. Inoltre, anche qualora tale riduzione fosse alla fine ottenuta, ciò avverrebbe a costo di consistenti perdite di ricchezza netta del settore privato e un sostanziale impoverimento della popolazione.
(31/05/2019 11:09)
Con il presente lavoro si è voluto mettere in evidenza come, quando si ammetta che il trend del reddito sia determinato da quello della domanda aggregata, gli effetti prodotti da persistenti avanzi pubblici tesi a ridurre il rapporto debito pubblico/Pil saranno diversi da quelli considerati in un approccio teorico tradizionale e tali da generare andamenti ?perversi? di quel rapporto. Ovviamente, l?analisi qui svolta risulta essere frutto di tutta una serie di assunzioni e semplificazioni, ed i risultati ottenuti essere sensibili ai valori attribuiti in particolare ai moltiplicatori fiscali. Essa però esemplifica quanto accaduto in Italia dopo la crisi dell?autunno del 2011 quando si sono avviate politiche di restrizione fiscale per riportare il rapporto di indebitamento sotto la soglia del 3% senza che ciò determinasse una riduzione del rapporto debito Pil ma anzi un suo incremento da 120,7 nel 2011 a 133 nel 2013 (cfr. Paternesi e Stirati, 2018). Per quanto infatti altri fattori possano avere in quegli anni concorso a rallentare la crescita del Pil, una politica fiscale restrittiva, se migliora il bilancio dello Stato, determina una riduzione del reddito e può dunque avere effetti perversi sul rapporto debito pubblico/Pil.
Qualora quindi la Commissione Europea imponesse nei prossimi anni il puntuale rispetto delle regole previste nel Fiscal Compact, i costi sociali e quelli in termini di potenzialità di crescita del sistema economico potrebbero risultare molto elevati e soprattutto non implicare necessariamente un miglioramento del rapporto debito pubblico/Pil. Una riforma dell?architettura istituzionale europea tesa a garantire maggiori spazi di manovra fiscale[21] o alternativamente trasferimenti di reddito verso i paesi cui fosse richiesto un forte consolidamento fiscale, e/o una riforma concordata[22] tra paesi nel regime monetario, appare dunque l?unica strada percorribile per evitare un declino del paese ed un impoverimento crescente della popolazione.
(31/05/2019 11:04)
1. La crisi del 2007 e gli effetti del fiscal compact
A base del Fiscal Compact e delle posizioni della Commissione Europea vi è l?idea che i deficit fiscali si traducano in una riduzione degli investimenti privati e abbiano un effetto negativo sulle potenzialità di crescita del sistema economico. Diverso è il punto di vista keynesiano: in economie che normalmente funzionano al di sotto dei loro livelli di piena occupazione, la spesa pubblica avrà un effetto espansivo sul reddito sia direttamente che per effetto dell?aumento degli investimenti privati che l?incremento di spesa pubblica e quindi del reddito potrà determinare.
Nella filosofia a base delle prescrizioni della Commissione europea, l?effetto negativo di politiche fiscali espansive deriverebbe in primo luogo dalle ripercussioni che si ritiene esse avranno sul costo del servizio del debito pubblico. Quando tali politiche non siano finanziate con emissione di moneta ? di cui è fatto esplicito divieto nei trattati istitutivi della Banca Centrale Europea ? esse determinerebbero infatti un aumento dei tassi di interesse spiazzando così la spesa privata. I valori dei moltiplicatori fiscali risulterebbero pertanto bassi o persino negativi, e si manifesterebbe di conseguenza un aumento del rapporto debito pubblico/Pil e dunque ulteriori pressioni al rialzo sui tassi di interesse per il maggior rischio associato al debito sovrano. Anche solo una stabilizzazione di quel rapporto potrebbe allora ottenersi unicamente con avanzi primari tali da compensare la crescente spesa per interessi. Inoltre, solo politiche fiscali restrittive in grado di abbassare il rapporto debito pubblico/Pil e con ciò i tassi dell?interesse potrebbero effettivamente liberare risorse per la crescita e l?occupazione ? ed avere così, almeno nel medio periodo, un carattere espansivo². Come previsto da autori di ispirazione keynesiana, l?applicazione di questa idea dell?austerità espansiva ha portato ad aumenti piuttosto che a riduzioni del rapporto debito-pubblico Pil nei paesi costretti ad adottare politiche di consolidamento fiscale, e ciò in particolare nel corso della crisi dei debiti sovrani del 2009-2010.